19 gennaio 2008

Calcio & Razzismo


La stupidità è ovunque, non solo dove ci sono telecamere e microfoni. La stupidità è anche nei campetti della provincia, in teoria passatempo ideale per vecchi e bambini ma in pratica valvole di sfogo ad hoc, dove l’esasperazione è maggiore di quanto non sembri all’apparenza. E dove trova spazio anche l’ostilità nei confronti di chi non ha la pelle bianca. Episodi isolati o consuetudine? Bella domanda. A rispondere ci hanno pensato sette protagonisti delle domeniche dilettantistiche.
«Certi comportamenti razzisti del pubblico erano più frequenti in passato - racconta Brahim El Hamich, attaccante marocchino ex Alba e ora al Sant’Anna d’Alfaedo - negli ultimi due o tre anni accadono di rado. Prima invece erano una costante. Io faccio finta di niente, al limite se qualcuno mi urla qualcosa e sono vicino alla rete di recinzione mi giro un attimo a guardarlo e penso a che persona può essere quella che ho di fronte. Però tutto questo un po’ mi sorprende, sono in Italia da diciassette anni e mi sento anche un po’ veronese ormai. Ma ricordo anche episodi molto belli, uno su tutti. Ero all’Alba e giocavamo col Legnago. Il difensore che mi marcava mi diede del "terrorista". Però dopo pochi minuti lo stesso giocatore si è avvicinato e mi ha chiesto scusa ammettendo di aver sbagliato. Non l’ho dimenticato».
«Più che la gente sulle tribune sono gli avversari in campo che usano un po’ troppo la lingua - sottolinea Cesar Pereira, gioiello brasiliano del Domegliara - insultandomi credono di farmi innervosire non sapendo invece che provocano l’effetto contrario. Se dribblo il mio marcatore più di una volta, se gli faccio un tunnel allora lo senti parlare a sproposito. Me lo aspetto, so che lo fanno apposta. Magari neanche pensano a quello che dicono, magari non è razzismo quanto preoccupazione per chi hanno di fronte. E in una partita le usi tutte per avere la meglio. Io non sono mai stato espulso per reazione a queste provocazioni, mi viene molto facile continuare a giocare come se nulla fosse».
«Non è successo molte volte ma è successo - ammette Prince Yarboye, diciannovenne jolly ghanese dell’Audace, in Italia da otto anni e studente di grafica pubblicitaria all’Istituto Carlo Anti di Villafranca - anche quando ero nelle giovanili. Ricordo una partita con gli Allievi in cui mi hanno insultato a ripetizione. Stavamo perdendo 1-0, poi abbiamo pareggiato e a poco dalla fine ho segnato il gol della vittoria. Appena ho visto il pallone in rete sono andato di corsa sotto la tribuna facendo segno al pubblico avversario di fare silenzio. Accadesse ora però non ci farei più caso».
«Quest’estate in un’amichevole un avversario mi ha detto che secondo lui lavoravo in una conceria per quanto puzzavo - racconta Ronnie Otoo, ghanese, punta della Polisportiva Virtus, studente al Pindemonte ed in Italia dal 2002 - e all’epoca del settore giovanile dopo una partita molto tesa tutta la squadra avversaria se l’è presa solo con me e non col resto dei miei compagni. Quella volta ricordo di aver tirato fuori le scarpe dalla borsa per difendermi, ero arrabbiatissimo. Poi però non è successo nulla».
«Non credo ci sia cattiveria in certi comportamenti - interviene Karim Choukrani, attaccante marocchino del Gazzolo, professione metalmeccanico - magari la reazione ce l’hanno quando mi capita segnare alla squadra per cui fanno il tifo. Ma è normale forse, quello è solo nervosismo».
«Secondo me a certa gente non dovrebbe essere data nemmeno la possibilità di vedere la partita - è il parere di Arma Rachid, attaccante marocchino della Sambonifacese da 12 anni in Italia ed impiegato part-time in una ditta che produce carrelli elevatori - ogni tanto qualche insulto me lo sento, anche se il più delle volte neanche li ascolto perché sono troppo concentrato sulla partita. Ma il calcio per me è un divertimento e dovrebbe esserlo per chi è in tribuna. Soprattutto nei dilettanti. Non ho mai reagito a nessuna provocazione e mai neanche pensato di farlo. Questa è solo gente ignorante».
«Io e Arma siamo stati fischiati al Bentegodi quando abbiamo giocato col Verona in Coppa Italia - ricorda Goncalves Dimas, compagno di reparto di Rachid alla Sambonifacese - ma mi è capitato anche a Chioggia e a Este, quando appena entrato in campo il pubblico mi ha fatto capire che non ero molto gradito. Fischi e qualche insulto per il colore della mia pelle non li avevo mai sentiti. Poi però ci ho fatto l’abitudine».

Di
Alessandro De Pietro (L'Arena)

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