La “veronesità”, ovvero il partito del sindaco Tosi e di mons. Zenti
Occorre prendere atto che, in città, il partito dei sostenitori della cosiddetta “veronesità” è in continua espansione ed ormai annovera, tra i propri aderenti, anche personalità di spicco come il sindaco ed il vescovo.
Ma se il primo, da anni, ha costruito proprio su questa questione la propria battaglia politica, il secondo, appena arrivato, l’ha assunta come base di partenza per il suo lavoro.
Infatti, in un intervento sul quotidiano cittadino di qualche giorno fa, mons. Zenti, dopo aver esaltato, perfino con forme poetiche e liriche, lo spirito dei veronesi, arriva a dire che “insieme siamo una potenza”. Peccato però che si dimentichi di indicare contro chi, o a favore di cosa, questa potenza, seppur oggi ancora potenziale, dovrebbe essere impiegata dal momento che, oggettivamente, la giusta battaglia contro l’individualismo ed il corporativismo non può certo assorbirne tutta la capacità d’urto.
Ed allora cos’altro ci sta dietro alle affermazioni del vescovo?
A mio modo di vedere, nel suo argomentare, purtroppo, traspaiono espliciti riferimenti alla società identitaria che, di sicuro divide più di quanto non unisca.
Infatti tutti coloro, vecchi e nuovi, che non sono veronesi “de soca” come ama definirsi il vescovo, come si sentono in una realtà che esalta in maniera così esplicita ciò che a loro non appartiene?
Certo, a nessuno è chiesto di rinnegare la propria identità, ma credo sia perfino pericoloso innalzarne una a modello, inevitabilmente, a scapito delle altre.
Credo che il modo migliore di porsi in una realtà complessa e diversificata come ormai è anche Verona, sia certo quello di presentarsi con il proprio essere, senza infingimenti, ma con lo spirito di incontrare e conoscere chi ha diversi valori ed esperienze da portare, ma identici diritti da affermare.
Penso sia limitante e perfino sbagliato fermarsi ad esaltare il proprio modo di essere perché, in questa maniera, anziché incontrare si finisce per respingere l’altro, il diverso, il portatore di cultura ed esperienze differenti da quelle qui affermate.
Insomma, oggi a Verona c’è più bisogno di identità o di solidarietà, di chiusura o di apertura?
Per me la risposta è chiara ed anzi vorrei che la sensibilità solidaristica, come è chiamata da mons. Zenti, fosse dispiegata ogni volta che c’è un bisogno insoddisfatto e non solo nelle calamità come si può leggere nel suo testo.
Se poi si vuole effettivamente uscire dal provincialismo, allora è indispensabile modificare proprio quel modo di essere che sarà pure speciale, ma di sicuro è anche la madre dell’universalmente riconosciuto provincialismo veronese.
Insomma, secondo me, Verona ed i suoi abitanti sono chiamati, assieme, a costruire il proprio futuro che sarà più roseo e certo, tanto più questa città diventerà terra di incontro, di accoglienza, di reciproco riconoscimento, con una vera unità tra diversi piuttosto che una “turris eburnea” di intoccabile veronesità.
Fiorenzo Fasoli
Segretario provinciale di Rifondazione Comunista
Verona, 28/07/2007
Concordo pienamente con le parole di Fiorenzo. L'esaltazione di una identitá la maggior parte delle volte significa il disprezzo e l'emarginazione delle altre. Estremizzando atteggiamenti di questo tipo non mi é difficile intravedere mostruositá accadute nella Storia ( e non si parla di molti molti anni fa... ): vedete Rwanda ( Hutu - Tutsi ), Armenia ( Turchi - Armeni ), Germania ( non c'é bisogno che ricordi chi... ). Le tradizioni non vengono calpestate se si guarda alla novitá, allo straniero come una fonte di arricchimento personale e collettivo. La solidarietá, l'apertura sono valori indispensabili al giorno d'oggi! Saranno questi i valori che ci permetteranno di trovare la via della pace e della fratellanza. Di certo sindaci sceriffi e monsignori attenti alla "veronesitá" non danno l'idea di una grande apertura...forse é un bene? forse un male?
Opto per la seconda...